Armando Curcio Editore

La storia vera della strage in Bosnia

La storia vera della strage in Bosnia

La storia vera della strage in Bosnia

Nel romanzo Il giardino dei fiori di pietra di Valerio Luigi Beretta il racconto di fatti realmente accaduti

In quest’intervista all’autore cerchiamo di capire quanto ancora è nascosto nelle pieghe della storia e perché è importante riportare alla luce accadimenti rimasti sinora taciuti.

La storia vera della strage in Bosnia

Cosa l’ha stimolata a intraprendere la scrittura di una storia come questa?

È una domanda che mi sono sentito rivolgere da più persone e che io stesso mi sono rivolto, alla quale rispondo con una frase di Giorgio Faletti: “Nella vita ci sono cose che cerchi e altre che ti vengono a cercare e dopo non sei più lo stesso”. Credo che nel mio caso sia andata esattamente così: la storia ha cercato me. Io non ho legami con i Balcani, tanto meno con Croazia e Bosnia Erzegovina teatro dei fatti che ho narrato e che non conoscevo. Il caso mi ha fatto inciampare in una lettera indirizzata a Papa Giovanni Paolo II nel 1995, scritta da una anziana signora che era stata la sventurata maestrina della scuola elementare di Šargovac, un piccolo borgo agricolo della Bosnia Erzegovina a pochi chilometri di distanza dal campo di concentramento croato di Jasenovac. In quella scuola, nel febbraio del 1942, gli Ustascia croati, alleati dei nazisti, guidati da un frate francescano passato alle cronache del tempo con il soprannome di Fratello Morte, massacrarono cinquantatré bambini di età compresa tra i sette e i dieci anni, colpevoli di essere ortodossi. Le parole di Dobrila, così si chiamava la maestrina che a causa di quei fatti è impazzita e ha passato la vita in manicomio, mi hanno colpito al punto di sentirmi obbligato a ricostruire quella storia. Non conoscevo più di tanto gli Ustascia, non sapevo del campo di concentramento di Jasenovac in cui è stato perpetrato il genocidio del popolo bosniaco di fede ortodossa e mussulmana. Del milione di persone barbaramente uccise dai cattolici Ustascia, oltre settecentomila hanno trovato la morte proprio a Jasenovac. “Dopo non sei più lo stesso” diceva Faletti. In effetti è stato così: ho studiato, ho scritto un romanzo e sono cresciuto.

Il fatto che il romanzo narri una “storia vera” è sicuramente un quid in più. Perché, secondo lei, questi fatti sono stati in parte taciuti dai libri di storia.

Alla domanda, dopo libri di storia, aggiungerei l’aggettivo italiani, quelli di altri paesi ne hanno parlato. Rispondendo, credo principalmente per due motivi.

Il primo è per il coinvolgimento diretto del clero cattolico armato, soprattutto dei frati francescani, nel genocidio degli ortodossi. L’idea di un grande stato cattolico nei Balcani non dispiaceva affatto al Vaticano. Ci sono molte testimonianze di monaci e prelati schierati al fianco degli Ustascia e del loro duce Ante Pavelic, noto per essere stato un criminale di guerra condannato per il genocidio del popolo bosniaco, rifugiato in Argentina grazie alla rete dei monasteri che ne hanno favorito la fuga. Pagine oscure di cui era meglio non dire. Ciò particolarmente durante la guerra fredda, anni in cui il Vaticano stava giocando un ruolo decisivo nel fronteggiare il comunismo sovietico.

Il secondo l’ho scoperto da poco, grazie a un editore blasonato al quale ho sottoposto il mio romanzo.  Dopo aver letto la sinossi, mi ha risposto che agli italiani non interessa la storia in genere e quella della ex Jugoslavia in particolare.

Quanto ritiene importante, oggi, in una società interconnessa, porre in luce fatti storici che, a volte, non sono stati registrati nelle cronologie canoniche?

Proprio perché la società è interconnessa, ai ragazzi, così come ai miei figli, arrivano ogni giorno dal web immagini che, se non adeguatamente supportate dalla conoscenza, possono influire negativamente sulla loro visione del mondo. Di certi argomenti, bollati come vecchi, barbosi, lenti da chi ha interesse, non se ne parla quasi più se non in qualche documentario proposto dalle televisioni a notte fonda. Nel breve volgere di pochissimi anni, non saranno rimasti testimoni diretti dell’olocausto e della follia nazista. Già oggi c’è chi nega che i campi di concentramento siano davvero esistiti, chi prova a seppellire sotto la polvere del tempo ciò che è stato ampiamente provato e documentato. In questo quadro, non è difficile comprendere cosa rimarrà di ciò che non lo è stato. Il risultato della memoria cancellata lo si comincia a vedere sui social. Mi riferisco alle immagini di giovanissimi con la mano destra alzata nel corso di partite di calcio, ragazzini con indosso t-shirt evocative dei simboli della follia razzista. Fatti che rischiano di passare per innocente folclore, quando di innocente non hanno proprio nulla. Cerco di insegnare a miei figli che la storia è rock, mentre l’omertà è lento.