Il futuro già passato
Nel romanzo Il futuro già passato di Lucio Zucchi un viaggio ironico e inusuale nell’Italia di metà secolo scorso.
In quest’intervista all’autore il racconto del periodo più fortunato della Storia, che galleggia su un mare di atrocità.
Come nasce l’idea di questo inusuale viaggio nel tempo?
La macchina del tempo mi ha sempre affascinato. Non solo in tarda età quando risulta istintivo, ai caratteri riflessivi, storicizzare i propri ricordi, inserirli in una griglia temporale e riflettere, magari, sui Novissimi: esercizi mentali, questi, che raramente si praticano in gioventù e in età “produttiva”. Ma anche da ragazzo ero attratto da ciò che riguardava i viaggi nel tempo, e io stesso ne fantasticavo calandomi nella Roma imperiale o nella Firenze del ‘400. Perciò l’idea di retrocedere, questa volta, nel mio stesso passato non è insolita per me, poiché è da sempre “nelle mie corde”.
I due protagonisti sono facce della stessa medaglia? Il presente che si confronta con il passato? La quotidianità che si scontra con i ricordi?
Paolo è l’alter ego giovane di Guido, che si vede costretto a improvvisare il proprio bilancio finale e a compilarne la pagella. Descrivendo le circostanze e gli avvenimenti che hanno accompagnato la propria vita, Guido si trova implicitamente a valutare come li abbia saputi di volta in volta affrontare e superare. Nella pagella che assegna a sé stesso va a collocare i fatti nelle diverse colonne di merito: in una elenca le soddisfazioni e le gioie, nell’altra le sconfitte e i dolori, nella terza i rimorsi, nell’ultima i rimpianti.
Quando illustra a Paolo, nelle grandi linee, lo scenario storico che accompagnerà la sua vita, Guido non si preoccupa tanto di sapere come si comporterà il ragazzo anche alla luce delle anticipazioni che gli sta svelando riservatamente. Non sa immaginare in quale misura queste potranno incidere sulla sua condotta, né lo sfiora l’idea di dargli suggerimenti.
Guido si concentra piuttosto sulla compilazione della propria pagella.
Questa domanda conclusiva è d’obbligo: se potesse tornare indietro, cambierebbe qualcosa?
Sì, cambierei molto. Badi che non sto a lamentarmi del mio bilancio di chiusura. Ho goduto del periodo più fortunato della Storia (come affermo in un passo del racconto, precisando tuttavia che “galleggia su un mare di atrocità”). Di questa circostanza, che è l’aspetto oggettivo, sono consapevole, e sarei disonesto se non lo riconoscessi. Quanto al mio comportamento soggettivo, lo trovo appesantito, giudicandolo a posteriori, da non pochi motivi di censura. Da un lato, specie in gioventù, ho mancato di coraggio, di determinazione. Mi sono lasciato soggiogare da un clima bacchettone che mi ha negato slanci di sana follia: imbranato (colonna dei rimpianti). D’altra parte, in età adulta, ho mancato di coinvolgere altri nella mia attività, gestendola troppo in solitudine e troppo supponendo di me stesso: egoista (colonna dei rimorsi). Forse l’età che, al momento, mi riesce meglio è la vecchiaia. Il fatto di esserci arrivato in buone condizioni psicofisiche (con tutte le limitazioni del caso, si capisce) è appagante. Fin che dura, naturalmente