Armando Curcio Editore

Emanuele Severino e il futuro della filosofia

il futuro della filosofia

Il futuro della filosofia

La visione e l’idea di Emanuele Severino in un nuovo saggio che raccoglie i pensieri più originali e radicali del XX secolo.

Ne parliamo con il curatore Riccardo Rita, uno dei più talentuosi ghost-writer italiani.

il futuro della filosofia

La filosofia è un campo di studi vasto ed eterogeneo. Come si inserisce in questo campo l’opera di Severino e il suo pensiero?

Quando mi sono imbattuto per la prima volta nel pensiero di Emanuele Severino ho subito pensato al Piccolo principe di Saint-Exupéry: «L’essenziale è invisibile agli occhi», perché la sua filosofia a prima vista può apparire come una controintuitiva negazione dell’evidenza. Semplificando, Severino riparte da Parmenide, filosofo greco vissuto tra il VI e il V secolo a.C., il quale negava il divenire, cioè escludeva che un qualcosa potesse passare dall’essere al non essere. Conseguentemente, Parmenide pensava che soltanto l’essere come totalità potesse esistere. Prendiamo questa penna: in quanto oggetto particolare, essa è. Siccome, però, non posso dire che essa sia l’essere (poiché questa penna non è ogni cosa), in quanto non è l’essere, essa – letteralmente – non è. Poiché si esclude in partenza che qualcosa possa passare dall’essere al non essere, dobbiamo dedurne che la penna, come qualsiasi altro oggetto particolare e specifico, non è, non esiste cioè come entità separata dalla totalità. Ecco, Severino riparte da qui e arriva a conclusioni tanto radicali quanto originali che interrogano nel profondo la nostra concezione del mondo e ci costringono a guardare criticamente il nostro rapporto con le cose. In un’epoca segnata da ingiustizie sociali, economiche, umanitarie e dalle terribili conseguenze dei cambiamenti climatici, tutti elementi innescati dall’oggettivazione dell’altro e del mondo, ovvero dal considerare le persone altro da sé e la natura come una fonte inesauribile di «cose disponibili alla manipolazione» (e quindi allo sfruttamento), forse il pensiero di Severino potrà aiutarci a sviluppare una nuova consapevolezza e trovare un modo migliore, più vero, più armonico e pacifico di vivere.

Parliamo dell’opera: un lavoro enciclopedico di assoluto rilievo, qual è stato il principio guida nell’operazione scelta di questi saggi?

Severino aveva collaborato con Armando Curcio Editore dirigendo e curando l’edizione della Storia del pensiero occidentale, un’opera che successivamente è stata ripubblicata, su licenza, anche da Mondadori, in sedici volumi. Quindi l’aggettivo enciclopedico non appare certo inadeguato. Il filosofo bresciano aveva commissionato ad alcuni suoi colleghi dei saggi su specifici argomenti e determinati periodi della storia della filosofia. Soprattutto in alcuni articoli che riguardavano il XX secolo, il pensiero di Severino è ben leggibile in filigrana. Ho scelto quelli che, in vista dell’obiettivo di esplorare i limiti della scienza e il nostro rapporto sempre più ossessivo con la tecnica, mi sono sembrati più significativi e coerenti con la premessa, indicata dall’Introduzione scritta da Severino, di vera e propria invocazione del futuro della filosofia come liberazione dalla gabbia del pensiero in cui ci siamo rinchiusi da soli: il mito del divenire.

Ritiene che, soprattutto oggi, anche tenendo in considerazione la pandemia, ci sia il bisogno di ritornare a parlare di filosofia? E perché?

Molti pensano alla filosofia come qualcosa di astratto e lontano dalla vita di tutti i giorni, ma è esattamente il contrario. La filosofia parte da considerazioni pratiche e immancabilmente vi ritorna. Non c’è un solo atto, nella nostra vita, che non avvenga in un contesto filosofico e non mostri, nel suo avverarsi, una specifica concezione del mondo. Anche andare a fare la spesa ha a che fare con la filosofia: scegliere la grande distribuzione o i piccoli esercenti, prodotti industriali o artigianali, carni o verdure: sono tutti gesti che partono da una filosofia e, nel compiersi, la producono. Tutti, nel nostro piccolo, facciamo filosofia. E nell’enorme tragedia che stiamo vivendo, questo nostro essere filosofi appare tanto più evidente. Pensiamo ai comportamenti adottati durante la pandemia. Indossare sempre e comunque la mascherina e autolimitare spontaneamente i propri gradi di libertà per minimizzare il contributo individuale alla diffusione del contagio, a prescindere dagli obblighi in vigore, è un atto filosofico preciso: facendolo, adottiamo uno specifico modello etico, di matrice kantiana, che vede il bene come imperativo categorico. Invece, adottare un comportamento che tiene più conto del desiderio individuale, pur armonizzato con gli obblighi vigenti, denota un atteggiamento prossimo all’etica utilitaristica, per cui il bene è un imperativo ipotetico, ovvero il soddisfacimento, in primis, delle proprie esigenze in vista di un’utilità. Un altro fattore evidenziato dalla pandemia è il nostro rapporto con la scienza. Leggendo «Il futuro della filosofia» apparirà evidente che la scienza non è verità, ma opinione. Questo sembrerebbe dare ragione ai negazionisti e ai no-vax, ma è vero l’esatto contrario. In quanto metodo per definire e circoscrivere le opinioni che derivano dall’interpretazione dei dati (a loro volta frutto di approssimazione) e sottoporle alla revisione paritaria (la cosiddetta peer review), la scienza dimostra la sua affidabilità nell’unico modo in cui è possibile ricavarla: statisticamente. Spesso le persone prendono decisioni basandosi su esperienze accadute a conoscenti o basandosi su racconti aneddotici. Ma la conoscenza aneddotica, basata cioè su dati non contestualizzati o non ricavati statisticamente, non è affatto conoscenza e, nell’assumere decisioni, rischia di metterci seriamente nei guai. La verità è che la filosofia può salvarci la vita, in quasi tutti i sensi possibili. Perciò faremmo bene a preservarne il futuro.