Anita Garibaldi. L’amazzone del Risorgimento
«Che poi Anita non è una vera eroina»
Ho avuto l’onore e il piacere di curare l’editing di questo progetto a dir poco innovativo e rivoluzionario e, spesso, nel dare qualche indizio sul primo volume della serie, mi sono sentita rispondere: «Che poi alla fine Anita non è nemmeno un’eroina vera e propria».
Mi è capitato così di riflettere sul significato di queste affermazioni e mi sono chiesta perché, anche solo per un secondo, mi sia trovata a dubitare se davvero Sorelle d’Italia non fosse una serie un po’ ambiziosa. Perché questa è la dinamica. La cultura patriarcale è in grado di insinuarsi silenziosamente, lasciando parlare gli altri, banalizzando e depotenziando, piantando un seme marcio, e senza farsi mai nominare.
Sorelle d’Italia, è vero, è un progetto ambizioso: perché solo la sinergia tra più menti ambiziose può porsi l’obiettivo di ribaltare la tradizionale chiave interpretativa storica, ricordando a chi legge che a scrivere la storia stessa non sono stati solo i vincitori, gli “eroi”, ma soprattutto gli uomini.
Questa serie vuole ribadire che le donne non sono mai state una minoranza, affatto, e che se ancora si fatica a comprendere che la storia è stata, ed è, compartecipata, fatta da persone, eroi ed eroine che tutti i giorni combattono per qualcosa nel proprio piccolo, anche per i diritti di qualcun altro, allora c’è bisogno di Anita più che mai (e dei volumi a seguire).
Grazie a Chiara Gianni, ho conosciuto un’Anita inedita nei suoi infiniti modi di sentirsi donna e responsabile di una libertà comune. Ho conosciuto un’Anita che senza alcun legame patriottico si è spinta comunque a morire oltreoceano per combattere una battaglia non sua, insegnando ai figli quanto conta fare sempre la propria parte, ancor più se in difesa di chi non ha il privilegio di nascere in un paese fortunato del mondo.
Giulia Cianfanelli, 15.03.2023