Armando Curcio Editore

Dalla lettera di Giona T.

E’ uscito in libreria il 9 aprile il libro Dalla lettera di Giona T. di Elisa Mauro. Abbiamo intervistato l’autrice per averne qualche anticipazione.

 

Cosa ti ha maggiormente ispirato per la stesura del tuo ultimo romanzo,  “Dalla lettera di Giona T.”?

 

La sorte e il suo spietato sarcasmo.

 

Chi è Giona T., il protagonista del tuo ultimo romanzo? 

 

Giona è un padre che si sente sempre in difetto, un padre che sbaglia persino ad amare i suoi figli e che difficilmente si fa comprendere da loro. E’ di certo un uomo comune, anche se dotato del nome proprio più opprimente che ci sia. Giona è un compagno di vita vera, uno che sbaglia e, quando lo riconosce, prova a chiedere scusa nel suo modo astruso e buffo. E’ un uomo ubriacato dalla vita, oltre che dai suoi vizi, e sembra nauseato dai cliché e dalle regole. 

 

C’è qualcosa che lo lega al profeta dell’VIII secolo che porta il suo stesso nome?

 

La disubbidienza. Giona-profeta fu quello che per essersi negato di fronte a un comando di Dio (profetizzare tutti gli abitanti di Ninive), ed essersela data a gambe all’ascolto della Sua voce, subì una pena terribile: fu ingoiato da un grande pesce, nel cui ventre sopravvisse per tre giorni e per tre notti. Sapendo bene che Dio non è Uno con cui è facile contrattare, perché in passato punì per molto meno (Eva fu cacciata dall’Eden per una mela e Sara partorì con dolore a novant’anni per un sommesso risolino), il profeta imperterrito disubbidì. 

Per la stessa disubbidienza nei confronti del suo Dio, Giona T. è ingoiato dalla realtà. E la realtà è il viaggio che compie per salvare la persona amata e che lo vede volare lontano, nonostante la sua fobia, dall’altra parte dei mondo. Farci i conti, con la stessa realtà, dà come risultato (anche se non basteranno tre giorni e un ventre caldo per Giona T.) una meritata e doverosa resurrezione. Giona, il profeta, è inoltre l’elemento più bello e maestoso della Cappella Sistina. Il suo corpo che si contrae e che tenta di scappare, così come visto da Michelangelo, è un vortice che può solo travolgere, abbracciandoci. Dello stesso tepore è fatto l’abbraccio che vuole dare Giona T. al suo lettore.

 

Come mai hai scelto un protagonista maschile? Qual è stata la maggiore difficoltà nell’entrare in questo personaggio?

 

L’uomo, che lo si voglia studiare da un punto di vista psicologico o da quello più squisitamente umanistico, nonostante i grandi passi che ha compiuto a vantaggio della evoluzione tecnologica e dell’innovazione e altrettanti nel verso tristemente contrario, è sempre il risultato di una moltiplicazione tra due soliti fattori: sì, no. Immergersi in un uomo, pur non essendolo, o non essendolo in tutto, significa annientare gli schemi e le dinamiche da capogiro che appartengono a un donna, per il semplice fatto che potenzialmente una donna sarà madre. La donna è un pezzo di vetro frastagliato e tagliente: i suoi mille e uno riflessi alle volte sono troppo difficili da capire e, nel mio caso, da spiegare. L’uomo, invece, un bit, o un flag, duale che si ritiene validamente funzionante solo per mezzo dell’assioma che lo caratterizza: c’è-non c’è.

 

Senza voler guastare la suspence dei lettori, cosa gli cambia così radicalmente la vita nella storia da te raccontata?

 

Incontrare Dio. Rendersi conto che a parte se stesso e il suo spropositato ego esiste un mondo meraviglioso e terribile allo stesso tempo. Dio, scoprirà Giona, non ha punti di sospensione nella sua comunicazione, nonostante ci vogliano far credere il contrario. E’ diretto il modo in cui Giona parla a Lui, è diretto il modo in cui litiga con Lui.  

 

Nei tuoi libri la musica è sempre una presenza forte, e anche la “colonna sonora” di questo romanzo sembra confermarlo. A cosa è dovuto questo rapporto così viscerale?

 

Ad una mancanza, o più di una. Sono cresciuta ascoltando Deedee Bridgewater, Steve Wonder, Paolo Conte e Frank Sinatra. Ho amato sin da subito quella cosa incomprensibile e inadatta per chiunque sia stato educato da agenzie di socializzazione che dividono i banchi, i bagni e le palestre destinati a maschi e femmine, l’unica cosa in grado di sopire la coscienza senza compromettere il sistema nervoso centrale: lo swing. 

A sei anni amavo, tra gli altri, il capolavoro “Say it loud, I’m black and I’m Proud” di James Brown. Capii che volevo diventare la cosa più simile a quello, anche se non sapevo sotto quale forma. E allora, come spesso capita a chi non realizza un sogno, si cerca a tutti i costi di sopperire a una mancanza con uno stupido artificio: vivere nella musica e per la musica, non suonandola, ma scrivendola. 

 

Ti occupi a tempo pieno sia di narrativa che di giornalismo. Qual è la dimensione nella quale ti senti maggiormente a tuo agio?

 

La scrittura creativa in genere. I romanzi che scrivo per me, e più spesso per gli altri, sono le chiavi che mi permettono di accedere ad un mondo che ho visto da qualche parte, altrove, e che  vorrei rivivere, tanto mi è piaciuto. Scrivere un romanzo significa conoscere le regole, introiettarle negli scritti, conoscere l’anatomia di uno scheletro che, se sei davvero bravo, puoi scardinare e ricomporre a tuo piacimento. Per i puzzle non funziona allo stesso modo. Per la scrittura sì, come per l’addizione. Ma a monte di quell’operazione vi è sempre una regola che bisogna rispettare, altrimenti è nullo il principio che ti spinge a non aver paura di un foglio bianco. Perché chi dice di temerlo, teme l’infinito. Se stesso, in pratica. 

Gli articoli giornalistici , invece, sono limitati dalle scelte altrui: qualcun’altro decide il numero di battute, lo stile, il tema, finanche il titolo, ma la combinazione degli elementi, quella è unica, perché uniche e personali saranno l’espressione, la ruga, il sorriso o il turbamento che vorrò imprimere a quel volto che per la maggior parte resta un foglio sporco. 

Tra le due, insomma, preferisco scrivere. 

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Elisa Mauro, a poco più di vent’anni, è diventata critico musicale per importanti riviste di settore. Fin dagli esordi ha rivelato un talento e una capacità di comunicare emozioni tramite la scrittura prontamente notati dalla critica: il suo primo romanzo, Cosa c’è di mare in me (2009), è stato vincitore del Premio ALI e finalista del Premio Strega tra le opere inedite. Nell’opera corale Armonico, del 2010, è autrice dell’omonimo racconto Armonico. Dal Grembo al cielo, in cui denuncia il dramma della città di Taranto avvelenata dall’Ilva. Attualmente scrive per riviste di settore, quotidiani e case di produzione. Come ghost-writer scrive e redige articoli, romanzi e narrativa in genere. Attualmente scrive per riviste di settore, quotidiani e case di produzione. Come ghost-writer scrive e redige articoli, romanzi e narrativa in genere.